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40. Il frutto spirituale che il Signore dà a chi è provato

(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio



Se sono realmente indifferente, «mi tengo come nel mezzo di una bilancia, per seguire quello che sentirò essere più a gloria e lode di Dio nostro Signore e per la salvezza della mia anima» (Ej 179). Questo vale in particolare nell’ambito della malattia, verso la quale «è necessario rendersi indifferente» (Ej 23). Con tale principio Ignazio non intende dire, ovviamente, che essa è un valore allo stesso modo della salute. Anzi, fa meditare all’esercitante come Cristo «curava tutte le infermità» (Ej 281), invitandolo a «badare a non cadere in infermità» (Ej 213). Gli fa contemplare pure, però, come egli, saputa l’infermità di Lazzaro, «si trattenne per due giorni» (Ej 285), lasciando anche Marta e Maria provare pena. La devozione che egli aveva verso Ignazio di Antiochia prendeva origine dall’esperienza che le «prove» (Ej 320) che il Signore permette possono essere fonte di un frutto spirituale maggiore.



A Francisco de Borja

(metà 1547)

Per quanto riguarda la passata indisposizione di V. Sria, vi ho scritto in un’altra lettera che ho saputo allo stesso tempo della vostra malattia e della salute che avete recuperato, per cui non avevo nessun motivo di addolorarmi, ma anzi mi è sembrato di dover rallegrarmi, convinto che questo non sarebbe stato senza qualche abbondante frutto spirituale. Ora, vedendo che questa visita e guadagno ha avuto il suo inizio nel giorno del glorioso sant’Ignazio, mi fa gioire molto di più in nostro Signore; e anche mi persuado che in V. Sria crescerà la devozione al nome di un santo così benedetto, verso il quale ho, o almeno desidero avere, una riverenza e devozione molto speciale in nostro Signore.

CB II/5_3 [Epp 176: I, 529)








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