(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio
La notte del 26 dicembre 1553 un incendio spaventoso distrusse il santuario di Nuestra Señora de Aránzazu, pur risparmiando l’immagine ivi tanto venerata dal popolo basco. In quell’occasione scrive a Borja evocando quell’immagine della Madonna davanti alla quale, dopo aver lasciato Loyola, aveva passato una notte in orazione (cf. Au 13). Fin dalla sua giovinezza, per quanto si sa, aveva una forte devozione all’«Ancella del Signore» (Ej 262), alla «Madre benedetta» (Ej 219, 273). Una delle poche testimonianze a riguardo è documentata nel Diario: prima, durante e dopo la celebrazione della messa, annota nel 1544, percepiva «un intenso sentire e vedere nostra Signora molto favorevole davanti al Padre e al Figlio e alla consacrazione la consacrazione non potevo non sentirla o vederla […] e avevo intelligenza di cose tanto alte che non si possono scrivere» (De 31). Difatti, negli Esercizi Ignazio associa l’uno all’altro Gesù e Maria (cf. Ej 63, 147), lei con il suo sì incondizionato (Ej 262), non esitando a chiamarli «mediatori» (cf. De 6 ecc.); e invita più volte l’esercitante a ricorrere al loro ruolo di intercessori come lo propone nel «triplice colloquio» (Ej 62, 147, 156, 159). Perché è convinto che lei «intercede fra noi peccatori e suo Figlio e Signore» per ottenerci la grazia che, «insieme alla nostra fatica e lavoro, converta i nostri spiriti fiacchi e tristi in forti e gioiosi per la sua lode» (Epp 1: I, 72).
A Francisco de Borja
(20 agosto 1554)
È vero che il caso di quel rogo è stato un grande dolore, soprattutto per quelli che sanno della devozione presente in quel luogo e di quanto Dio nostro Signore sia stato servito in esso [...]. Da parte mia posso dirvi che ho particolare motivo per desiderare [il restauro di quel santuario], perché quando Dio N.S. mi fece misericordia perché io facessi dei cambiamenti nella mia vita, mi ricordo di aver ricevuto profitto nella mia anima per aver vegliato di notte nel corpo di quella chiesa.
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