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39. Lacrime

(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio



Negli Esercizi sant'Ignazio fa spesso riferimento alle lacrime. Esse vanno chieste assieme al «dolore e contrizione per i propri peccati» (Ej 4, 55, 69, 78, 87), ma anche «per il dolore della passione di Cristo»: sono lacrime che più espressamente «muovono all’amore di lui» (Ej 316), «doloroso», «tormentato» (Ej 203, 48). Si tratta quindi di una forma di consolazione (cf. Ej 89, 315, 322). Un «cavaliere» (Ej 74, 94) non piange, un uomo non piange o poco, ma a un «noble cavallero de Jesu Cristo» (D4 11) può venir dato dallo Spirito Santo il desiderio di «imitare, nell’uso dei propri sensi, Cristo N.S.» (Ej 248) che pianse prima di risuscitare Lazzaro (Ej 285) o san Pietro dopo averlo rinnegato (Ej 292). A sant’Ignazio le lacrime venivano quando sentiva una maggiore vicinanza e presenza del Signore, come quando, già a Manresa, «il suo intelletto cominciò ad elevarsi come se vedesse la Santissima Trinità sotto forma di tre tasti, e tutto questo accompagnato da tante lacrime e da tanti singhiozzi che egli non riusciva a trattenersi» (Au 28). A lui, essendo senza guida spirituale, esse servivano in qualche modo da criterio, e non di più. Sarebbe sbagliato, però, ricercarle con bramosia. Al brillante predicatore olandese che si auspicava di aiutare le anime anche con le lacrime, ma che si lamentava del proprio cuore arido, il santo dà, tramite Polanco, alcune indicazioni che permettono di interpretare giustamente quanto viene scritto negli Esercizi (cf. 4, 48, 55, 69, 203 et passim).



A Nikolaus Floris (22 novembre 1553)

Circa il dono delle lacrime, non si può domandarlo assolutamente, perché non è necessario, né è buono e conveniente in assoluto e per tutti. Comunque io ho fatto il mio dovere di parlarne con N.P. Mtro. Ignazio, ed etiam personalmente ho supplicato e supplicherò Iddio N.S. che glielo conceda in quanto è conveniente per il fine medesimo per cui V.R. lo ricerca, cioè l’aiuto delle anime, della sua e di quelle dei prossimi. Padre carissimo, cor durum male habebit in novissimo [un cuore duro avrà del male negli ultimi tempi, Sir 3,27], ma un cuore desideroso dell’aiuto delle anime e del divino servizio, come è quello di V.R., non si può chiamare duro; ed avendo, come lei ha, nella volontà e parte superiore dell’anima compassione alle miserie dei prossimi, e volendo porvi rimedio da parte sua, e facendo ciò che deve fare un uomo che ha tale volontà efficace nel procurare i mezzi, non sono necessarie altre lacrime, né altra tenerezza di cuore. E benché alcuni le abbiano, perché la loro natura è tale che l’affetto dell’anima superiore trabocca facilmente nell’inferiore, o perché Dio N.S. , vedendo che a loro conviene, dà loro tale sciogliersi in lacrime, non per questo essi hanno maggior carità, né sono più efficaci di altri che non hanno tali lacrime, benché abbiano affetto non minore nella parte superiore, cioè hanno una volontà tanto forte ed efficace (la quale è atto proprio della carità) per il servizio divino e bene delle anime, come quelli che abbondano di lacrime. Dico anche a V.R. (come lo sento) che ad alcuni, se stesse in mio potere dar loro le lacrime, io non gliele darei, perché non giovano alla carità loro e fanno danno al corpo e alla testa, e di conseguenza impediscono qualche esercizio di carità. Sicché V.R. non si pigli fastidio per la mancanza di lacrime esterne, e conservi la sua volontà buona ed efficace, e mostrata in opera, e questo basta per la propria perfezione e aiuto degli altri, e servizio di Dio. E si ricordi che gli angeli buoni fanno quello che possono per difendere gli uomini dai peccati e affinché Dio sia onorato, eppure non si addolorano quando accade il contrario; e N.P. loda molto nei nostri il procedere simile in questo al modo degli angeli.

CB IX/3_1 [Epp 3924: V, 714-715)








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