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28. «Sono tutto un impedimento»

(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio



«Povero di bontà», così Iñigo firma, con umiltà, le sue prime lettere. Il santo non esita ad ammettere le proprie inavvertenze (Epp 5950: X, 216), accoglie la correzione di Bobadilla che gli rinfaccia di non seguire le regole date per la corrispondenza (Epp 74: I, 277-282): «penso di mancare molto e temo di mancare ancora in avvenire» (Epp 58: I, 236-239), egli confessa nonostante tutta la cura con la quale si sforza di scrivere. È, però, prima di tutto davanti a Dio che si sente insufficiente: è convinto, scrive al duca di Gandía, di porre grandi ostacoli alle grazie che riceve da Lui, anzi, di essere «todo impedimento». In lui l’umiltà non è una semplice virtù morale: proviene da un profondo senso della comune condizione creaturale, ma anche della propria «fiacchezza, colpa e grave miseria» (Epp 11: I, 114), vissuto, però, in un atteggiamento di disponibilità sempre più ampia nei confronti di Dio e di «Cristo povero», lui che «da creatore è venuto a farsi uomo e discendere da vita eterna a morte temporale» (Ej 53; cf. 165-168).




A Francesco Borja

fine 1545


Così, prima che venga la grazia e operazione del Signore nostro, poniamo impedimenti, e dopo che è venuta, ancora altri alla loro conservazione fino alla fine. V.S. parla di tali impedimenti per abbassarsi di più nel Signore di tutti, e per elevarsi meglio al nostro livello, noi che desideriamo tenerci quanto più in basso possibile. Dice infatti che questa Compagnia non ostacola quello che il Signore vuole operare in essa, a giudicare da quanto si dice di Araoz in Portogallo. Quanto a me, mi persuado che prima e dopo sono tutto un impedimento; e di questo, provo maggiore soddisfazione e gioia spirituale nel Signore nostro, visto che non posso attribuirmi cosa alcuna che sembri buona. Una cosa sento – se quelli che intendono meglio non sentono una cosa migliore –, è che pochi in questa vita o, meglio detto, nessuno può determinare o giudicare esattamente in quale misura egli impedisce da parte sua e quanto danneggia ciò che il Signore nostro vuole operare nella sua anima. Sono ben persuaso che quanto più una persona avrà una profonda esperienza dell’umiltà e della carità, tanto più sentirà e conoscerà persino i pensieri più piccoli e altre cose minime che l’ostacolano e le nuocciono, anche se sembrino di poco o nessun conto, essendo così tenui in sé. Resta il fatto che avere una conoscenza completa delle mancanze ed errori non è di questa vita presente, come [lo attestano] il Profeta [Sal 18,18] quando domanda di essere liberato dalle colpe occulte e s. Paolo che non si sente giustificato dopo aver confessato di non conoscerle.

CB XIII/1_6 [Epp 101: I, 340-341]



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