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26. Di fronte al cibo

(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio



Nelle sue regole circa il mangiare, Ignazio osserva che l’appetito è «più incline a disordine» davanti a cibi non ordinari, dove «la tentazione è più pronta a istigare» (Ej 212). Soprattutto, egli ribadisce secondo il criterio del «tantum quantum» (Ej 23), che «bisogna evitare che l’animo sia tutto intento a quello che mangia, e che uno mangi in fretta spinto dall’appetito; al contrario bisogna aver padronanza di sé, sia nel modo di mangiare sia nella quantità» (Ej 216). La presente lettera è rivolta al rettore della comunità di Lovanio, dove le condizioni materiali erano assai difficili. Vi si loda la sobrietà del regime alimentare, ma si raccomanda di badare a non mettere in pericolo la salute (cf. pure Epp 4983: VIII, 102-103).




A Adrian Adriaenssens

12 maggio 1556


Lodiamo, per quanto si può, la frugalità, la parsimonia e il buon esempio dato agli altri in materia di nutrimento. Ma in questo campo pensiamo che non conviene sottrarre cosa alcuna di quelle che, secondo il parere del medico (che deve tener presente la nostra povertà e condizione), siano necessarie per recuperare o mante­nere la salute. Questo in generale. Che, inoltre, sia bene abituar­si a cibi e a bevande più comuni e meno care, quando si è sani e di buona tempra fisica, è conforme alla ragione e al nostro Isti­tuto secondo cui i nostri devono usare un modo di vivere comu­ne. Perciò, se la salute fisica di qualcuno consentisse di abituar­si alla birra o alla sola acqua o al sidro, dove fosse questa la be­vanda comune, dovrebbe farlo piuttosto che usare vini importa­ti con spesa maggiore e dare minore edificazione. Però, se ci fos­sero alcuni di poca salute, come tra voi il M. Adriano Whitte e M. Bernardo [Olivier] e il M. Pietro Ribadeneira, trattino bene il lo­ro povero corpo per potere aver forze per le opere di pietà e di ca­rità in aiuto delle anime e a edificazione del prossimo; diversa­mente si indebolirebbero e sarebbero poco utili al prossimo sino a diventare anche un peso, come è capitato in Italia a M. Bernardo e a M. Adriano. Costoro non conviene farli abituare in nessun mo­do, a mio parere, a cibi e bevande più ordinari, a meno che pos­sano farlo senza danno della salute. Per i servitori di Dio, che sono pronti a soffrire per Cristo ogni cosa, anche le più faticose, pre­ferirei che avessero quelle comodità offerte da Dio stesso più di quelli che sono meno utili al bene comune. Bisognerà tuttavia stare attenti a non introdurre il superfluo in­vece del necessario e quanto piace ai sensi invece di ciò che ser­ve alla salute, convertendo in abuso quello che è un uso lodevo­le. E se fosse contro l’edificazione prendere in pubblico quanto fosse necessario a giudizio del medico, si faccia pure in privato, in modo che quanto conviene alla salute non sia di scandalo. Tut­to questo è detto in generale; ai particolari scenderà la prudenza, che discernerà dopo aver esaminato tutte le circostanze.

CB V/5_3 [Epp 6454: IX, 374-375]



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