(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio
All’inizio della seconda Settimana degli Esercizi, Ignazio considera anzitutto la chiamata che, nel suo Discorso della montagna, il «Re eterno» rivolge «ai suoi amati discepoli» (Ej 278), invitando a imitarlo nel sopportare ogni povertà attuale come spirituale» (Ej 98). Dal suo punto di vista, quello della missione, lo stato di vita consacrata caratterizzato dalla disponibilità («por vacar …») per il «puro servizio del Padre eterno» (Ej 135) è indiscutibilmente «migliore» dello stato comune» (Ej 356). La penuria di cui patiscono i gesuiti inviati a fondare i due collegi di Padova e Venezia, dà al santo l’occasione di ribadire il senso del voto di cui hanno fatto liberamente la professione. Nella lettera che Polanco scrive a nome del santo, egli indirizza il loro sguardo sul Signore che «viene a nascere in somma povertà e, dopo tante sofferenze di fame, sete, caldo e freddo, ingiurie e oltraggi, muore in croce» (Ej 116).
Ai confratelli di Padova
7 agosto 1547
Abbiamo inteso l’amore per la povertà, che avete scelto per amore di Gesù Cristo povero. Avete talvolta l’occasione di patire effettivamente la mancanza delle cose necessarie […]. Non è senza dubbio necessario esortare alla pazienza persone che ricordano lo stato che hanno abbracciato e che tengono dinanzi agli occhi Gesù Cristo nudo in croce, soprattutto perché si constata attraverso la lettera [di Pietro Santini, un aspirante alla Compagnia] che per quanto la povertà sia bene accetta da tutti, d’altronde essa si fa sentire. Però, come me ne ha incaricato il nostro Padre in Gesù Cristo, Maestro Ignazio, che vi ama da vero padre, mi rinfrancherò con voi tutti per questa grazia che ci concede qui e là l’infinita bontà di farci sentire questa santa povertà, da voi non so con quanta intensità, ma qui in modo molto forte, conformemente alla nostra professione. Chiamo la povertà una grazia, perché è specialmente un dono di Dio, come dice la Scrittura: Povertà e ricchezza vengono da Dio [Sir 11,14] e che è tanto amata da lui, come lo vediamo dal suo Figlio unigenito, che discendendo dal trono regale [Sap 18,15], volle nascere nella povertà e crescere con essa. E non solo l’amò nella sua vita, soffrendo fame, sete e non avendo dove posare il capo [Mt 8,20], ma anche nella sua morte, volendo essere spogliato delle sue vesti e privo di tutto, persino di acqua nel momento in cui ebbe sete. […] È palese quanto la povertà sia apprezzata da Dio, vedendo che gli amici suoi più cari, soprattutto nel Nuovo Testamento, a cominciare dalla sua santissima Madre e dagli apostoli e attraverso tutti i tempi fino ai nostri, sono stati comunemente poveri, imitando come sudditi il loro re, come soldati il loro capitano, come membra il loro capo Cristo. I poveri sono tanto grandi dinanzi a Dio che particolarmente per loro fu mandato Gesù Cristo sulla terra
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